Il curriculum verde di Caterina
Un tempo, facciamo conto 50, 60 anni fa, l’attuale mio giardino era il cortile che si condivideva con i coloni. Allora si usava ancora così. Le mucche uscivano dalla stalla due volte al giorno per andare a bere alla fontana, i carri passavano davanti a casa trascinati da un cavallo o da buoi. Era un’aia a tutti gli effetti.
Quando mia madre arrivò qui come sposa cominciò a piantare due salici nei pressi della fontana e a coprire il cortile con la ghiaia e a rivestire le pareti della stalla con l’edera. Timidi tentativi di miglioramenti estetici. Una fascia stretta di terreno che confinava con il grande orto dei vicini era stata trasformata in giardinetto: gerani, siepi di lauro, piccole aiuole fiorite.
Poi i coloni comperarono i campi e la casa che era attinente alla nostra, e venne stabilito un confine tra le due proprietà, così la zona dell’orto divenne nostra; un confine un po’ sbilenco che ora è ricoperto da una fitta edera.
Allora mia madre cominciò la sua opera di piantagione: un grande tiglio, due salici di cui uno giapponese con i rami contorti, e poi rose, un albero di Giuda, due cipressi, un vialetto, alberi e alberelli, ortensie e gerani. Allora si viveva la casa solo durante l’estate. Poi quindici anni fa siamo venuti ad abitare qui a Porpetto.
Io venivo da una vita cittadina a Milano, dove ero stata anche caporedattore di Gardenia.
Solo teoria la mia, quella di mia madre invece era proprio vera passione per la terra che lei lavorava con le mani. “Sono come rastrelli” diceva e stava curva e accucciata per trasmettere meglio il suo amore. Aveva avuto un orto in Carnia dove era vissuta da ragazza, e un piccolo giardino dove aveva fatto le sue prime esperienze di giardiniera e qui a Porpetto finalmente ha potuto realizzare il suo giardino. Ma arrivo io che avevo un’idea diversa dalla sua: il giardino che lei aveva realizzato era pieno zeppo di piante, non c’era aria e poca luce, e allora comincio timidamente a fare delle proposte: il tiglio per esempio che era in posizione centrale occupava quasi tutto il giardino con la sua chioma e sotto non cresceva niente neanche l’erba e poi i suoi fiori profumati venivano “cancellati” da una malattia che sporcava anche le foglie di grigio fumo. Anche se con dolore abbiamo deciso insieme di abbatterlo ma ne abbiamo conservato la base del tronco per non dimenticarlo e ne abbiamo fatto come un grande vaso che accoglie ora piante di edera e al centro, di stagione in stagione metto bulbi, o gerani, o una pianta di rose, o una Dicentra o una Astilbe… Altri alberi o perché ammalati o perché non lasciavano filtrare la luce del sole, sono scomparsi. Le rose però le ho tenute tutte anche se le ho spostate in parti più soleggiate. Su un salice cresce e si arrampica vigorosa una Clematis armandii con tante foglie verdi anche in inverno quando il salice è nudo, per fiorire di bianco per prima a inizio primavera. Un cambiamento totale in questi 800 metri quadrati, salvo quell’abete sul fondo del giardino che è il ricordo di un albero di Natale di noi bambini.
Così mia madre poco a poco comincia ad appassionarsi anche alle mie idee. E quello di oggi è diventato il “mio” giardino ma realizzato sempre con la sua approvazione. Ora lei con c’è più e io cerco comunque di rispettare le sue proposte. Quella collinetta sotto l’acacia l’ha voluta lei e io l’ho ricoperta di Pachisandra terminalis e di Lamium; di questa piantina così invadente ne avevo fatto una piccola collezione sul balcone di casa mia, a Milano, perché mi piacciono quelle foglie appena rigate di bianco e la loro instancabile crescita. Ma ci sono anche due Veigelia che mia madre adorava per la loro ricca fioritura rosa. Io ho solo aggiunto in un angolo delle viole gialle che fanno luce anche in inverno. Essendo un giardino in ombra in molte parti c’erano e ci sono ancora le Aspidistra e le Iris japonica cristata che decorano anche una stretta aiuola che sta sulla strada. E nell’angolo di casa vive ancora, e chissà quanti anni ha, una Sophora japonica già curata anni fa da un esperto giardiniere, un pezzo davvero speciale che ogni anno rimette le sue foglie e pare sempre un miracolo. E c’è un grande Laurus nobilis così grande che quasi copre un intero lato della stalla e che teniamo potato a siepe altissima, come un paravento naturale. E c’è anche un albero di ligustro quasi all’ingresso del giardino, e due palme… un tocco esotico questo ma è un regalo di un caro amico. E poi c’è la Convallaria o Ophiopogon japonicus, quella bassa bordura verde che era presente in tutti i giardini dell’Ottocento. E ancora ortensie, due piante di Sarcococca che profuma d’inverno e il Viburno e le Hosta, ne ho di diverse varietà con quelle foglie così generose e tanto diverse tra loro, che tornano fedeli ogni anno. Le amo molto ma ahimè anche le lumache ne sono attratte. E le profumatissime peonie che sanno di cipria. E ancora le felci che si ripropongono con i loro ricciolini ogni primavera e la settembrina che illumina di rosa l’inizio dell’autunno.
Ogni anno provo qualcosa di nuovo a volte con successo altre con delusione magari per troppo secco, o troppa acqua o troppo caldo o troppo freddo… Un giardino è come l’amore, si può programmare, curare, ma il successo non è mai assicurato: o troppo caldo o troppo freddo, o troppa acqua o…
Caterina