Il curriculum verde di Marina
C’era una volta una bambina che viveva circondata dai fiori.. ogni luogo dove andava lo ricorda associato alle piante che vi si trovavano.
Le vacanze in montagna avevano un mazzetto di ciclamini per compagno, i rododendri e i gigli martagoni li ammirava rispettosa senza coglierli mai. D’inverno si fermava sempre a guardare le primule che spuntavano tra la neve che si scioglieva tornando dall’ultima sciata dell’anno.
Poi c’erano i mazzi di fiori di campo e il vecchio giardino della nonna con tutte le piante famose a quei tempi.. forsizie, chaenomeles, narcisi, blue bell, leucojum, l’immancabile oleandro di un pallidissimo rosa e le ortensie, vere regine del giardino, in tutte le possibili sfumature di colore, dal tenero rosa al blu intenso, amorevolmente sfamate ogni anno con manciate di chiodi.
Con questi presupposti, ho avuto solo due possibilità nella vita: diventare palazzinara e cementificare tutto, perché si sa, le piante sporcano, o far diventare verde e fiorito tutto quello che mi circondava.
Finalmente, dopo aver colonizzato appartamenti, terrazze, scrivanie dell’ufficio, è arrivato il tanto desiderato giardino, piccolo ahimè considerate le mire espansionistiche, ma all’epoca sufficiente a farmi sognare. E così, il giorno successivo al preliminare per l’acquisto della casa, munita di zappetta e con un cespo di preziosissime hoste dono di un amico appassionato, ho iniziato la mia carriera di vera giardiniera e non solo di amante del verde e della natura.
Ricordo ancora l’enorme soddisfazione provata, girare per il giardinetto, che già consideravo mio, senza ovviamente saper nulla del tipo di terreno né dell’esposizione, e sognare…sognare quali piante avrei dovuto togliere, quali tenere, cosa fare con i troppi alberi, oidio c’è anche la vecchia fontana, come mi nascondo dal vicino, cosa crescerà lì sotto, la ghiaia dove la butto… Gertude Jekyll con il suo “Giardino dei colori” è diventata la mia maestra e con una lunga lista di piante indispensabili quanto introvabili, ho iniziato le scorribande per i vivai della regione e la conoscenza di bravi e appassionati giardinieri, che, in primis, erano splendide persone.
Era il periodo delle mostre di giardinaggio per le quali mi sono alzata all’alba e quasi in punta di piedi mi sono affacciata in questo magico mondo fatto di banchetti colorati pieni di vasi con rare piantine o bulbi nascosti e dalle quali sono sempre tornata con almeno un amico in più, tante preziose informazioni, il portafoglio considerevolmente alleggerito e un pensiero che nella mia vita diventerà costante “E questa dove la metto?”.
Naturale conseguenza è stato battezzare il mio giardino “Il vasetto felice”.
Son seguiti diversi viaggi all’estero “per giardini”, per assorbire i profumi, i colori, i disegni di quei luoghi tanto ammirati sulla carta patinata dei libri inglesi che continuavo a comperare, quelli italiani li avevo già letti tutti.
Ora, stanca di perfezione a tutti i costi, cerco un insieme di sensazioni che il giardino dovrebbe trasmettere, l’atmosfera, l’anima del proprietario, il genius loci, i piccoli esseri di natura che lo abitano, l’amore con cui viene curato e l’assoluto rispetto per la natura.
La passione del giardinaggio, la condivisione di semi, talee, piante, conoscenze, progetti, mi ha dato poche certezze colturali, devo continuare a studiare, ma tanti tanti amici.
Marina