Il curriculum verde di Rosella
“Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto la notte” (Edgar Allan Poe).
Condivido e penso che i giardinieri facciano parte di questa fetta di umanità. Non posso considerarmi una giardiniera in quanto le mie conoscenze e competenze in questo campo sono limitate e il mio giardino è un “fai-da-te”, frutto di attente letture e febbrili ricerche sulle mie amate rose.
Mi ritengo piuttosto una giardiniera-contadina, poiché con vanga e attrezzature varie me la cavo.
Sicuramente è merito di mia madre se mi soffermo con rinnovato stupore e curiosità ad osservare i colori della natura in autunno, e di mio padre se ogni inverno spero con infantile attesa che nevichi. Quando accade con i miei figli esco di casa per ascoltare con orecchie tese il silenzio che avvolge il giardino e passeggio per scoprirlo nella sua veste dormiente, quando si svela nella sua essenza. È il momento in cui i bossi che lo punteggiano, solitamente sopraffatti dall’esuberanza delle altre piante, diventano protagonisti.
Il mio è un giardino piccolo che circonda interamente l’abitazione. È nato nell’autunno 2001, quando è stata messa a dimora una siepe di Thuja Plicata che ne definisce l’intero perimetro. Questa siepe è la “forza” del giardino: compatta, quasi severa nel portamento, è un muro verde che nasconde agli occhi dei passanti un tripudio di forme e colori che si svelano solo con il profumo delle rose.
Tra queste mura vegetali, nella primavera del 2003, è arrivato il primo ospite, un grande Liriodendron Tulipifera con il tronco che si biforca alla base, volutamente scelto così a simboleggiare la nascita dei miei due figli. Quell’estate fece molto caldo, e la mia inesperienza diede i suoi frutti: l’autunno seguente la morte di alcuni rami ne aveva sbilanciato il portamento creando un vuoto ben visibile.
Nel frattempo avevo messo a dimora due piante di rosa Phillis Bide e una Zephirine Drouhin che avevano iniziato a dare il meglio di sé arrampicandosi sui sostegni predisposti sulle pareti della casa.
Credo sia stata la fotografia di mia figlia, sorridente sotto una cascata di rose, che ha dato l’impulso a quello che poi è divenuta una passione. Le rose sono diventate circa una settantina tra antiche e inglesi, e sposate a qualche clematide, che non sempre premia le mie cure, si trovano disposte lungo due lati della siepe a formare delle bordure miste con piante perenni “rubate” ai giardini inglesi: torreggianti spighe di delfinio, lupini, verbaschi, digitali, malvoni e campanule che danno mostra di sé dopo la fioritura degli iris, lumache permettendo.
Quando la calura estiva sfianca anche la generosità delle rose, le mie cure sono rivolte verso un’altra parte del giardino, la zona delle ortensie, dove Snow Queen, Snow Flake, Annabelle con anemoni, rose e altre piante perenni a fioritura scalare, formano il “giardino bianco”, disegnato da siepi di bosso. Qui, durante l’inverno, si affacciano gli ellebori che, delicati e discreti, si fanno spazio tra gli scheletri delle ortensie sui cui rami si intravedono merletti di brina o galaverna. Questa parte del giardino è nata dopo alcuni anni ed è il frutto di vari ripensamenti, in quanto “l’ingordigia del giardiniere” di cui sono vittima arrendevole, non mi portava mai ad una decisione.
Lo spazio limitato, non compatibile con i tanti desideri, mi ha indotto a scegliere rose rampicanti e a cercare soluzioni per farle arrampicare. Carta e penna alla mano, ho disegnato alcune strutture in ferro che un abile artigiano ha realizzato. Così sono arrivate molte rose che ho disposto in vari angoli del giardino, persino due Paul’s Himalayan Musk che con rassegnazione successivamente ho regalato poiché avevano invaso e sovrastato due alberi. Stessa sorte è toccata alla Filipes Kiftsgate, il cui peso aveva piegato più volte la struttura che la sorreggeva. Gioie e dolori il giardino!
Lunghe serate passate a leggere, a progettare, a sognare! Non c’è caffè che abbia sorseggiato senza sfogliare “Gardenia” o qualche bel libro dedicato al giardinaggio. Qualcosa ho imparato, ad esempio come ottenere un bel giardino con poca fatica. Per evitare malattie alle rose pratico una potatura che permetta un buon arieggiamento della pianta, e per evitare le famose erbacce, copro con l’erba di sfalcio i piedi delle piante. Sul Liriodendro danneggiato è cresciuta e fa bella mostra di sé una rosa, che ho ribattezzato “Signora del giardino”, la Madame Alfred Carriere.
Fortuna del principiante? Forse! L’unico cruccio, che si ripete annualmente, è la mancanza di quel tocco fugace, ma di sfrenato lusso rappresentato dalle peonie che continuano ad illudermi, ma “nessun giardiniere sarebbe tale se non vivesse di speranze” (Vita Sackville-West).
Rosella