Il curriculum verde di Simona
Sono nata a Milano in un grande condominio, quattro palazzoni di nove piani ciascuno con un fazzoletto di terra in mezzo: un Cedrus deodara, tre betulle (era la fine degli anni ’60) le immancabili forsizie…per fortuna però ho trascorso gran parte della mia infanzia nei giardini dei nonni, uno al mare e l’altro in montagna.
Il primo adagiato sulle colline che, all’inizio delle Marche, si elevano dopo le decine di chilometri di spiaggia romagnola, all’improvviso la scogliera si alza a strapiombo sul mare da Gabicce a Pesaro. Alle spalle le dolci colline coltivate a grano, viti, ulivi, davanti il mare, ovunque il profumo dolce delle ginestre e dei ligustri, del vento che sa di mare e di terra argillosa, che d’estate diventa polvere quasi bianca.
Nelle aiuole di quel giardino hanno sempre convissuto ortaggi e fiori, i carciofi erano la sintesi mirabile di tale convivenza: piante scultoree, boccioli eduli e fiori di un cangiante azzurro-violaceo. Qua e là alberi da frutto albicocche, pesche, uva fragola e fichi, pere tutti dolcissimi… e poi un pino marittimo dai lunghi aghi ed un cipresso e tanta siepe di ligustro che ho imparato a tagliare appena le mie forze di bambina mi hanno consentito di reggere le lunghe cesoie. Strappare l’erba era difficilissimo con quella terra dura quanto poi a vangare non ricordo di esserci mai riuscita. Poi la casa è stata venduta e sono solo certi improvvisi profumi a trascinarmi prepotentemente con il ricordo in quel giardino.
Assai diverso l’altro giardino a mezza montagna sulla destra orografica della bassa Valtellina, baciato dal sole, in mezzo a prati sempre verdissimi e annosi castagneti, con una vista su tutta la valle fin dove il gruppo dell’Ortles–Cevedale la chiude. Lì la terra è soffice e scura, cede facilmente sotto la vanga e produce delle meravigliose patate rosse che già a quattro anni aiutavo mio nonno a raccogliere. Avevo un piccolo “gerlo” per trasportare il fieno fino al solaio, ceste e cestini per la raccolta di frutta e verdura che il nonno curava con orgoglio nel grande orto, perfettamente ordinato. Dei fiori si occupava la nonna, fiera di non aver mai comprato una pianta ma di aver sempre moltiplicato semi e talee ricevute da amiche e conoscenti. Nel cuore mi sono rimasti i gladioli, i gigli di San Luigi, i garofani ‘a mazzetti’ e le dalie pompon, fiori spesso destinati a decorare l’altare della chiesa del minuscolo paese. Quante ore trascorse a “cucinare” insieme a mia sorella foglie, petali, funghi e qualche frutticino raccolto ai piedi degli alberi da frutto. C’era un enorme pero, il cui tronco non riuscivo ad abbracciare del tutto e le cui fronde raggiungevano il secondo piano; appena abbattuto fortunatamente è stato sostituito con un altro che ha già superato il primo piano e che produce le stesse piccole e dolcissime pere. Mancati i nonni l’orto si è molto ridotto e le aiuole hanno subito diversi cambiamenti, seguendo un po’ la moda e l’estro di chi ora le segue, resistono solo l’alta siepe di bosso dal profumo così caratteristico ed i grandi cespugli di ortensie macrophylla blu grazie al terreno naturalmente acido. Quando una volta l’anno riesco ad andare lassù faccio un lungo e lento giro guardando ogni pianta, ogni cespuglio, prima le aiuole, poi l’orto spingendomi oltre il giardino nel grande prato con i noci fino al bosco di castagni e ciliegi selvatici. In quell’ambiente è nato il mio amore per la natura, per l’orticoltura e per il giardinaggio e lì è maturata la mia decisione di iscrivermi alla facoltà di agraria, perché è attraverso la conoscenza che si coltiva l’amore per qualcosa.
In realtà una volta laureata la mia vita ha preso tutt’altre strade, inclusa quella verso il Friuli con tutti i saliscendi che ne sono conseguiti, ma poiché bisogna aver il coraggio di seguire i propri sogni, passati i quarant’anni ho deciso di ritornare alle origini e di fare del giardinaggio, soprattutto della progettazione dei giardini, il mio lavoro.
Ma il giardino adesso ce l’hai chiederete voi? No, per il momento no o meglio non è mio in senso stretto, visto che abito in un piccolo condominio ho chiesto il permesso di occuparmi dei quattro fazzoletti che affiancano i vialetti d’ingresso ai portoni. Fortunatamente l’assemblea ha votato a favore e da un paio di stagioni sto cercando di dar vita allo spelacchiato prato con un po’di fiori; è ancora presto per parlare di risultati ma i commenti non sono certo mancati, positivi perlopiù ma anche pesantemente negativi da parte di chi concepisce il giardino solo come una siepe squadrata possibilmente di lauro (ci risiamo, si ama solo ciò che si conosce…) e un prato, anche dove il prato è solo muschio d’inverno e qualche erba secca d’estate.
Cosa c’è dunque in questo minuscolo giardino? Una bordura al sole con corbezzolo, viburno tino, mirti, hemerocallis, acanthus, perowskia e gaure oltre alle peonie che una gentile condomina mi ha chiesto di piantare recuperando qualche radice dal giardino di una cugina cui le aveva donate quando aveva dovuto rinunciare al proprio giardino. Vedere la timidezza con cui quest’anziana signora mi ha chiesto se fosse possibile piantarle e l’entusiasmo con cui alla mia risposta affermativa mi ha procurato e consegnato le radici mi ha fatto riflettere ancora una volta su come il giardino sia sempre e soprattutto un luogo del cuore. Poi un bordo di iperico con una lagerstroemia, per avere un piccolo albero adatto allo spazio ridotto ma bello in ogni stagione.
Dall’altro lato qualche cespuglio scelto pensando allo scorrere delle stagioni: il Philadelphus per la primavera, la Weigela e il melograno da fiore per l’estate, l’Osmanthus per la profumata fioritura autunnale, la Callicarpa per le meravigliose bacche a dicembre, il Cornus alba per i rami rossi nel grigiore invernale e poi l’Abelia ‘Confetti’ decorativa per tutto l’anno e ancora qualche acanto e le bergenie (preziosissimi regali della nostra Patrizia). Il tutto disposto cercando di far convivere le piante con il sole a picco da giugno a settembre e l’ombra degli edifici circostanti per tutto il resto dell’anno oltre che con l’assenza dell’impianto di irrigazione. Due rose, una Mermaid ed una Ghislaine de Feligonde stanno iniziando a coprire le recinzioni verso strada. A tarda estate sono fioriti i bulbi di Acidanthera bicolor che verso sera emanano un intenso e meraviglioso profumo, un dono speciale oltre la loro elegante e raffinata bellezza. E poi una selva di cosmee giganti seminate per riempire i vuoti fra i cespugli ancor giovani ma che con le piogge di agosto sono cresciute oltre il metro e mezzo suscitando tanta ira nella mia povera vicina del tutto ignara della loro effimera esistenza. Come può essere diversa la percezione di una stessa cosa, mentre io ammiravo il rigoglio della vegetazione e la profusione di fiori qualcuno vedeva solo un disordine assoluto e preoccupante, certo le piante vagabonde di Gilles Clement ed il giardino naturale difficilmente potranno abitare qui ma chissà magari piano piano, un seme alla volta, la natura del resto fa miracoli.
Magari un giorno avrò un giardino tutto mio ma intanto credo sia già una fortuna poter mettere le mani nella terra sotto casa e seguire queste piccole aiuole che pur tanto stupore, gioia e meraviglia sanno regalare a chi le osserva con sguardo benevolo e poi è anche grazie a loro se sono diventata “un’amica in giardino” e questo è già un grande regalo.
Simona